Tra le varie distinzioni che è possibile operare in materia di trusts una particolare rilevanza riveste la differenza tra trust interno e trust straniero o esterno. Con la prima locuzione si allude a quel trust che deduce beni (come anche la sede, la residenza dei beneficiari e l’amministrazione) principalmente localizzati in un Paese diverso (nella fattispecie in Italia) da quello il cui ordinamento è stato scelto ai fini della disciplina. Il trust è viceversa straniero o esterno ogniqualvolta si verifica una coincidenza tra l’ordinamento la cui legge viene scelta onde disciplinare il fenomeno ed il Paese al quale sono più strettamente connessi gli altri elementi importanti (cioè la sede, l’amministrazione, etc.).
Notevolmente problematico si pone il sindacato relativamente alla validità del trust interno. Al riguardo ci si interroga se sia comunque da censurare il trust costituito in Italia deducendo beni immobili siti nel nostro Paese ed il cui beneficiario sia un cittadino residente non all’estero. Un siffatto trust sarebbe connotato da un unico elemento di estraneità, vale a dire la legge alla quale fare riferimento onde individuare la normativa alla quale sarebbe sottoposto. La risposta più appagante al riguardo pare far leva sul concetto di frode alla legge (art. 1344 cod.civ.). Ogniqualvolta cioè il trust si ponesse quale strumento per eludere norme imperative o comunque sottratte alla disponibilità delle parti esso si trasformerebbe in uno strumento di violazione delle stesse, come tale soggetto ad una valutazione in chiave di nullità. Si pensi all’istituzione di un trust con finalità di distribuzione dei beni ereditari in modo tale da far venire sostanzialmente meno i diritti dei legittimari, oppure a quello al quale si dia vita mediante il trasferimento di beni di una società in stato di insolvenza allo scopo di addivenire al riparto delle attività difformemente rispetto agli istituti fallimentari (Tribunale di Milano, ordinanza 16 giugno 2009). Anche il trust interno autodichiarato ove cioè settlor, trustee ed addirittura beneficiario venissero a conicidere, agevolmente sarebbe dichiarato inefficace in quanto posto in essere in pregiudizio dei diritti dei creditori (Tribunale di Milano, 7400/13).
Negli altri casi la costituzione dello stesso parrebbe invece pienamente ammissibile ed efficace. Parimenti censurabile, sotto il profilo della frode ai creditori, sarebbe l’utilizzo dell’istituto per sfuggire alla responsabilità patrimoniale, similmente ad altri atti di disposizione (parimenti criticabili ai sensi dell’art. 2901 cod.civ.). Al di là di tali aspetti rimane inoltre da apprezzare il riferimento compiuto dall’art.13 della Convenzione dell’Aja. Soltanto l’applicazione pratica del principio in esso contenuto, inteso a salvaguardare la possibilità del mancato riconoscimento di un trust da parte di un Paese al quale esso è estraneo quando gli elementi importanti dedotti nell’istituto sono più strettamente connessi ad un Paese che non lo conosce, indicherà una casistica alla quale fare riferimento.
Ancora nell’esperienza dei Paesi anglosassoni è dato di poter distinguere tra trusts intesi a conferire una speciale destinazione al patrimonio familiare (income trust) e trusts costituiti per finalità morali (charitable trust), tra trusts finalizzati al promuovimento di operazioni commerciali (business trust) e trust creati per scopi previdenziali (pension trust).
Si parla infine di trust autodichiarato nell’ipotesi in cui non sussista alcun trasferimento di attività dal disponente al trustee, venendo perciò tali funzioni a coincidere in capo allo stesso soggetto. Questa ipotesi di trust è considerata espressamente da alcune leggi straniere e, nei limiti in cui ne risulta legittima l’applicazione nel nostro Paese, se ne deve reputare parimenti consentita la costituzione (Tribunale di Reggio Emilia, 14 maggio 2007).