Il senso comune suggerisce che i figli non hanno prezzo ma l’esperienza insegna che per farli diventare grandi e – sperabilmente – autonomi, le famiglie debbono affrontare costi decisamente onerosi e crescenti nel tempo. Costi monetari e in attenzione, costi di mantenimento ( alimentari, vestiario, alloggio, cura, salute…) e di accrescimento (socialità, istruzione, intrattenimento, cultura…). In tutti i casi costi che crescono anche in tempi di recessione e con velocità superiori all’inflazione. E non è certo di grande consolazione sapere che il fenomeno è comune a tutte le famiglie dei paesi sviluppati.
Conoscere questi costi (o investimenti di tipo affettivo) è molto importante perché, consapevolmente o meno, questi costi incidono nella scelta di avere (o non) dei figli e, di conseguenza, dovrebbero costituire la base per le politiche pubbliche di sostegno alla natalità. Ma conoscere, anche in modo approssimato, i costi di mantenimento ed accrescimento di un figlio serve anche per valutare l’incidenza in caso di emergenze come malattia, morte, licenziamento di uno dei genitori e/o di separazione/divorzio del nucleo familiare. Una serie di mutamenti che quasi sempre portano alla medesima conseguenza: l’impoverimento economico del nucleo familiare.
L’indagine di Federconsumatori
In questi ultimi anni in Italia come all’estero sono state condotte numerose ricerche sui costi per crescere un figlio; ricerche che l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha inteso rielaborare in questa indagine ed integrare con alcuni studi di fonte propria. Ciò che è emerso da tutti gli studi è la grande variabilità di questi costi, che dipendono in primis dal reddito familiare e dall’età dei figli (le due variabili prese in considerazione da questo studio) ma anche dal patrimonio, dalla composizione del nucleo familiare, dal luogo residenza, dagli stili di consumo e dal welfare disponibile.
Per omogeneità con queste ricerche anche lo studio di Federconsumatori ha preso come riferimento le spese attribuibili ad 1 figlio di 16 anni, con un altro figlio minore, in una famiglia di tipo bi genitoriale che abita in una grande realtà urbana del centro‐nord e in una casa di ca 100 mq di proprietà, con mutuo/affitto da pagare. I tipi di costo attribuiti pro quota al figlio sono :
1. Alloggio: che comprende i costi di affitto/mutuo, tasse di proprietà, manutenzione, pulizia,spese per luce, gas, acqua, riscaldamento,rifiuti e arredamento.(compreso Tv,radio,Hi‐Fi…)
2. Alimentazione: le spese per cibo , non alcolici, buoni mensa, ristorante.
3. Trasporti e comunicazioni la voce comprende la quota di ammortamento per l’acquisto del veicolo, carburante, manutenzione e riparazioni, assicurazione, trasporti pubblici( aerei compresi) telefonia fissa e mobile e connessione Internet
4. Abbigliamento: costi di acquisto, pulitura e riparazione
5. Salute: costi non coperti dal servizio pubblico (es. dentista, fisioterapia,psicologo…)
6. Educazione e cura: spese per babysitter, tasse scolastiche,libri, ripetizioni, pre‐post scuola, mensa scolastica, viaggi di studio, PC…
7. Varie: comprendono spese per cura personale, paghetta,sport, intrattenimento, viaggi, regali..
*il valore indicato è orientativo per le famiglie monoreddito o monogenitore
**il totale è ottenuto moltiplicando il costo/anno x 3 (il numero di anni per ogni fascia di età) e sommando i valori delle 6 fasce di età
Differenze geografiche
Il luogo dove si cresce un figlio ha ovviamente un incidenza importante sui costi di mantenimento ed accrescimento di un figlio/a per cui, tenendo come riferimento le spese di un reddito medio , i ottengono le seguenti differenze territoriali*
*Differenze che per essere valutate correttamente dovrebbero essere corrette dai differenziali di livello dei prezzi al consumo territoriali e di reddito familiare
I Costi NON considerati
Lo studio NON include le spese pubbliche che governo centrale e locale sostengono per la crescita di un figlio e che in Italia arrivano al’1,5% del PIL, valore ben al di sotto della media UE. Spese tuttavia non irrilevanti visto che nel periodo da 0 a 18 anni superano i 50000€ per figlio/a e vengono investite in gran parte nell’istruzione e in parte minore nela tutela della salute. La ricerca NON include nemmeno i costi per la cura dei figli (ca. 100 ore/mese), sostenuti principalmente dalla madre in termini di fatica gratuita o di rinuncia ad un guadagno economico, costi che tuttavia è difficile
stimare in meno di 6‐700 euro/mese (meno di 8 euro/ora !)
E negli altri paesi sviluppati ?
Il confronto tra paesi diversi presenta sempre un notevole margine di incertezza e quello dei costi per mantenere e crescere un figlio fino a 18 anni non fa certo eccezione. Tuttavia la forte omogeneità delle dinamiche socioeconomiche nei paesi occidentali rende plausibile un confronto che è in parte corretto dalla cd. Parità di Potere di Acquisto.
• N.d.a Il dato cinese è altamente speculativo
Le città migliori per crescere un figlio
Combinando numerosi indicatori sociali (stabilità politica, legalità, sviluppo economico, libertà personale, servizi sanitari, scuole,attività culturali, disponibilità di beni di consumo, di abitazioni ed ambiente naturale) è possibile stilare una “classifica” delle città & nazioni più adatte per crescere i propri figli.
Conclusioni
• In media i costi diretti di mantenimento e crescita di un figlio fino a 18 anni comportano tra il 25% e il 35% di spese in più rispetto ad una coppia senza figli e di pari reddito. Se a questi costi si sommano anche quelli indiretti ne consegue che per le famiglie gli attuali oneri economici si possono definire quantomeno scoraggianti la natalità
• Dare una stanza al proprio figlio/i resta tutt’ora la spesa di maggiore entità per una famiglia e , come incidenza percentuale sul totale delle spese, negli ultimi anni è in continua crescita.
• Come in crescita, seppur più contenuta, sono le spese per trasporti & comunicazioni mentre in calo percentuale sono quelle per alimentazione, mentre restano più o meno costanti quelle per abbigliamento.
• Se restano basse in Italia le spese per la salute da 0 a 18, crescono invece con velocità da 2 a 4 volte quella dell’inflazione, le spese per cura ed educazione dei figli. ( in Italia come in tutti i paesi sviluppati) Una situazione che se dovesse perdurare nel tempo accrescerebbe il rischio di far perdere alla scuola pubblica la sua funzione di emancipazione sociale per i ceti più poveri.